L’esilio e la sua fine raccontati da P. Kentenich *

Introduzione

L’esilio di 14 anni del fondatore ebbe un cambio repentino nell’autunno del 1965. Per il fondatore e la Famiglia di Schoenstatt si verificò un “miracolo della Notte di Natale”.

Pochi giorni dopo, il 3 gennaio 1966, P. Kentenich riportò questi eventi in una serie di conferenze tenutesi con i sacerdoti diocesani schoenstattiani della diocesi di Münster. 

La conferenza fu particolarmente preziosa perché riportò vividamente l’esperienza del fondatore. Del resto, quando lo si legge, si apprezza il peso delle interruzioni del filo del discorso, gli intercalari e le riflessioni. I critici, nonché gli storici probabilmente avranno da ridire su alcuni alcuni dettagli dell’esposizione, ma resta il fatto che gli eventi hanno delle accelerazioni repentine. diventando straordinariamente improvvisi. L’esperienza personale del fondatore, riflette chiaramente la sua distanza interiore dai fatti e dagli eventi di Roma così come chiarisce il suo impegno personale e mantiene il suo valore speciale e non fa altro che descrivere il corso degli eventi.

Il racconto di P. Kentenich

Padre Kentenich nei suoi racconti affermò: “È acclarato ormai che quei quattordici anni dal 1951 al 1965 furono oggetto di lotte inenarrabili. Concentriamoci ora sul significato di quei quattordici anni. Sappiamo anche perché un tale conflitto è stata deliberatamente da me provocato. In questo contesto, poichè me lo state chiedendo, vorrei dirvi qualche parola sull’udienza con il Papa. 

In quel periodo di lotte si possono facilmente distinguere due fasi: 

 [La prima fase della lotta: 1951 – 1963]

Regnava una grande confusione. Qualsiasi tentativo di portare chiarezza o di disinnescare in qualche modo le cose a Roma fallì. Come già affermato, anche se le persone influenti si fossero schierate dalla nostra parte, non sarebbe servito a nulla: non appena avessero cominciato a fare qualcosa, Dio li avrebbe chiamati a sè. 

In realtà, ero un neofita riguardo a tutti quei metodi che erano comuni a Roma. Ero convinto che avessero voluto ricercare sempre con passione la verità come l’avevo ricercata personalmente anche io. 

Nel gennaio 1952 lasciai Roma avendo imparato due cose. 

La prima mi fu insegnata da Monsignor Kaas che era diventato mio amico dal 1915.(246?!) Una volta mi disse che Pio XII aveva fatto molti sforzi per riformare le Congregazioni Romane, specialmente il Sant’Uffizio;(247) ma il suo tentativo era fallito completamente. Fu la prima volta che mi fu consentito di poter vedere un po’ quello che succedeva dietro le quinte. 

La seconda mi fu insegnata dal Cardinale Lavitrano, allora prefetto della Congregazione per i religiosi. Lui fu anche un fedele amico di Schoenstatt e ci ha sempre appoggiato. Quando entrai in contatto con lui, in quel periodo avvenne il primo scontro tra la Congregazione dei religiosi e il Sant’Uffizio a causa nostra. Infatti, nel maggio 1948, in tempi relativamente brevi, le Sorelle di Maria furono riconosciute ufficialmente, diventando un istituto diocesano. Nello stesso anno diventarono un istituto di diritto pontificio. A quel punto si cerco persino un titolo adeguato: quasi juris papalis.(142) 

Ma il Sant’Uffizio intervenne e protestò, sostenendo di non essere stato consultato. Lì “nei piani alti” avvengono cose analoghe a quelle che avvengono all’asilo. E così come accade in tutte le situazioni della vita, accadde anche a Dachau (campo di concentramento dove P. Kentenich è stato per tre anni) e in qualsiasi altro posto. Ovunque ci sono esseri umani, si possono riscontrare fragilità umane. Il cardinale Lavitrano si schierò apertamente dalla nostra parte; e quando cominciò a difenderci, morì improvvisamente. Era una legge generale: bastava che una persona volesse fare qualcosa a favore di Schoenstatt per avere inmediatamente una condanna a morte in tasca.

Di lui conservo nella mia memoria un’affermazione molto amara e che fa riflettere: “se avessi saputo come si amministrava il diritto a Roma, non avrei mai accettato l’incarico di prefetto della Congregazione dei religiosi”. 

Si trattava di due intuizioni che serbavo in me: da un lato, la forte necessità di riformare le Congregazioni o almeno l’approccio che veniva applicato abitualmente e, dall’altro, il modo in cui le persone interpretavano la legge. 

Tutto ciò mi portò al seguente pensiero: ora che sei in pensione per anni potrai raccogliere del materiale che prima o poi potrai mettere a disposizione del Papa come materiale informativo. Naturalmente, tutto ciò richiedeva una volontà ed una capacità di sostenere seriamente i tentativi di riforma della Curia romana. 

Di conseguenza, non pensate che io sia rimasto in disparte, ignaro di tutto. Perché tutto ciò che in qualche modo riguardava Schoenstatt arrivava sempre direttamente a me ed io lavoravo su tutto. Mentre ero a Milwaukee ho scritto abbastanza da riempire una biblioteca.(143) Queste erano risposte a domande di attualità riguardanti la vita della Chiesa ed attinenti con la politica, con l’insegnamento della Chiesa o la pedagogia. 

Le cose rimasero così fino al 1959. Poi improvvisamente realizzai: ora devi difenderti, ora devi confrontarti con i principali avversari. Questi erano, prima di tutto, i due Visitatori, il Visitatore Episcopale e il Visitatore Apostolico, e il Superiore Generale dei Pallottini. 

I due Superiori Generali dei Pallottini si comportarono diversamente. Il precedente Superiore Generale dei Pallottini, padre Turowski,(144) mise in gioco il suo onore e fece del suo meglio per  opporsi a padre Tromp(145) e tutto ciò che aveva intrapreso. Ebbe persino il coraggio di fare una richiesta al Sant’Uffizio. In essa espresse la seguente convinzione: Padre Tromp può essere un buon specialista in apologetica, non aveva quasi nessuna conoscenza delle questioni in gioco. Per questo suggerì la nomina di un nuovo visitatore. Egli lo propose al Cardinale Ottaviani, prefetto del Sant’Uffizio, il quale rispose in maniera affermativa, ma non fece nulla. 

Quindi elaborai un piano, prima di tutto, per discutere con loro tre ad un livello puramente accademico.Se fossimo stati d’accordo su tutto, avremmo potuto lasciare il resto in pace, ma qualora ci fossero state delle differenze, avrei chiesto di portarle al cospetto del Papa e richiedere di avviare un serio processo legale. Va anche detto che era lungi da me pensare di richiedere la grazia. Il mio obiettivo era sempre la piena e perfetta riabilitazione giuridica. 

Così volli avviare un confronto presso Treviri. Ispirato da Newman, decisi di scrivere un breve saggio. Probabilmente sapete che una volta anche Newman dovette difendersi intitolando il suo saggio: “Apologia pro vita sua”. Così anche io decisi di intitolare il mio: “Apologia pro vita mea”. (146)

Quando si tratta di questioni giuridiche, sono molto preciso. Ma, umanamente parlando, non ho niente di personale contro nessuno. In quel momento le cose erano appese ad un filo (non dovevo comunicare con nessun sacerdote di Schoenstatt), così andai dal Vescovo Michael Keller di Munster, il predecessore dell’attuale vescovo. Gli chiesi di leggere la mia lettera e di darmi un ritorno con la sua opinione se fosse il momento giusto per avviare questa iniziativa. La sua risposta fu che non voleva dare un’opinione sulla questione; mi consigliò di non preoccuparmi affatto di quelle cose per cui il Sant’Uffizio voleva tenermi lontano. 

La mia risposta fu questa: qui è una questione di diritto naturale! Neppure il Sant’Uffizio aveva il diritto di ledere il diritto naturale. Nessuno ha il diritto di calunniare nessuno. Non mi opposi in alcun modo contro alcuna disposizione. Non attaccai nessun decreto, ma mi difesi solo dalle calunnie. 

Tuttavia, pensai di attendere un po’ di tempo in attesa che la situazione diventasse più favorevole. Quindi non inviai le scuse. 

Inoltre bisogna considerare un secondo aspetto: ne discussi anche con con il padre generale Möhler, che era in realtà il principale esponente di tutte le accuse contro di me, ma non voglio soffermarmi ora sull’argomento per non screditare nessuno. La lettera fu scritta il 31 ottobre 1961. Un giorno questa lettera passerà alla storia. In essa analizzai di nuovo tutto con grande precisione e il contesto in cui maturarono i fatti così come furono esposti. Era mia intenzione consegnare la lettera al Sant’Uffizio. Lo feci in tutti quegli anni, sebbene avessi indirizzato gli scritti al Generale, mentre il vero destinatario sarebbe dovuto essere il Sant’Uffizio. Quando leggerete un giorno la mia lettera, non vi stupirete più che il Sant’Uffizio si sia sentito ferito nel profondo. 

La reazione fu che il Sant’Uffizio, usando tutto il suo potere, colpì in tutte le direzioni. Il nostro povero Josef Schmitz (147) fu rimosso dall’incarico. (148) E poi furono intraprese una serie di azioni, per esempio, quali quelle contro il Ramo delle Famiglie. Io stesso sono stato sottoposto personalmente a una sanzione ecclesiastica. I colpi si susseguirono l’uno dopo l’altro. I motivi della sanzione ecclesiastica erano: disobbedienza e mancanza di rispetto per l’autorità ecclesiastica.

Per inciso, consideravo coscientemente che un compito molto importante non fosse solo insegnare correttamente ad obbedire, ma anche praticare l’obbedienza verso il Santo Uffizio.

Del resto l’obbedienza era stata legittimata dal Concilio e allora cosa significa “sentire cum Ecclesia”? 

Vuol dire entrare in sintonia e fare nostri i desideri della Chiesa e le opinioni della Chiesa.

Fino al Concilio Vaticano Secondo, la Chiesa è stata per secoli considerata fondamentalmente come una societas esterna, non di rado secondo il diritto borghese, assimilabile nella forma ad una organizzazione militare. 

Ecco perché fino ad allora quando si parlava di “cum ecclesia” si intendeva praticare l’obbedienza militare. Ma da quando la Chiesa arrivò a considerarsi come popolo di Dio, come famiglia di Dio, cosa richiedeva il sentirsi “cum ecclesia”? Era necesario introdurre un altro tipo di obbedienza: un’obbedienza familiare. Questa è l’obbedienza alla quale personalmente ho sempre aspirato come un alto ideale e un’obbedienza familiare richiede una grande misura di franchezza. Dobbiamo fare in modo che si pratichi un’obbedienza matura, un’obbedienza familiare. 

Poi ebbi modo di affermare, molto chiaramente e inequivocabilmente, che l’obbedienza da me praticata era moralmente corretta, asceticamente di alto valore e strategicamente esemplare. Cioè, esattamente il contrario della concezione di obbedienza intesa dal Sant’Uffizio. Lo scontro diventò sempre più intenso. Dal mio punto di vista era una lucida volontà: un’idea chiara che difendevo coscientemente. Come in tutte le altre cose, si trattava di dare l’esempio con la propria vita in tutti i campi della Chiesa della nuova sponda, così come oggi, in un certo senso, è stato ufficialmente riconosciuto dal Concilio. 

In cosa consisteva la sanzione ecclesiastica? Tre giorni senza celebrare la messa e poi fare esercizi spirituali. Per fortuna, non era molto. Non l’ho trovato così preoccupante e pensai: aspetta, perché ora hai cose più importanti da fare. Molto presto arrivò l’avviso che era il momento di rispettare la sanzione. Così feci. Una volta acconsentito, attraverso l’intermediario del generale dei Pallottini, inviai il contenuto delle mie meditazioni al Santo Uffizio. E il contenuto delle meditazioni è stato lo svolgimento di tutta la storia di Schoenstatt con la corrispondente interpretazione accademica.

 Vale a dire, fui estremamente sfacciato. 

Dopo aver riflettuto attentamente sulle cose, mi fu posta la grande domanda: ha senso continuare su questa strada? Nel frattempo mi era diventato chiaro (da quando ero penetrato profondamente nell’ambiente) quanto poco il Papa potesse agire da solo, e quanto fosse fortemente prigioniero del suo ambiente. “Pensai allora che la legge della porta aperta stava diventando la legge della porta chiusa”. Così pensai che sarebbe stato meglio attendere fino al Concilio, che era già stato annunciato. Stai pur sicuro che il Concilio fornirà una giustificazione alla tua persona, alle tue teorie e ai tuoi insegnamenti. 


Traduzione: Francesco Mennillo

Pubblicheremo presto la continuazione:

[La seconda tappa: il Concilio Vaticano II] e [L’udienza con Papa Paolo VI]